La crisi del territorio, degli anni '70, è stata parzialmente arrestata dalla realizzazione di un nuovo polo industriale per la produzione dell’alluminio, a Portovesme, che ha segnato l’inizio della riconversione della città di Carbonia, con l’aumento di attività economiche legate al terziario e la parallela apertura verso il territorio, come produttrice di servizi. L’orientamento di Carbonia verso questa specializzazione appare quanto mai necessaria, soprattutto oggi, in una situazione in cui si sente più forte la crisi del Polo Industriale di Portovesme, con la fermata degli impianti dell’Eurallumina e le pesanti preoccupazioni per l’intero comparto metallurgico.
“Carbonia fa il suo ingresso nel terzo millennio con un grande patrimonio democratico di battaglie sociali per il lavoro e con una forte determinazione a resistere alla crisi. Tuttavia, la consapevolezza stessa dei valori della città di fondazione e del suo patrimonio architettonico e urbano appariva ancora nel 2000 fortemente oscurata. Il rifiuto ideologico di un passato totalitario si univa alla difficile convivenza con l’eredità della “città del potere”, che escludeva il protagonismo dei cittadini e rischiava di confinarli negli alloggi minimi, un tempo simbolo di emancipazione e progresso, oggi talvolta soltanto di scarsità e disagio. Nella città il degrado si manifestava con un certo diffuso decadere dei monumenti civili e con forme di occupazione privata degli spazi della città, con la modificazione capillare e corrosiva dei suoi caratteri architettonici. Ma nei luoghi del lavoro il processo assumeva un aspetto di paradossale disfacimento, mettendo a rischio la sussistenza delle vestigia stesse delle archeologie industriali.
E’ a questo punto che prende corpo un nuovo progetto di identità urbana, che non è solo recupero della memoria e tutela del patrimonio: si tratta di una scommessa su un modello di sviluppo centrato sulla consapevolezza della comunità, sul riuso e la risignificazione del patrimonio stesso come sistema di valori culturali, economici e d’uso. Il programma ha il suo cuore nella “grande miniera di Serbariu”: un grandioso processo di restauro dei fabbricati e degli spazi ma soprattutto di costruzione di un polo della cultura e della ricerca. Al centro di questo processo si colloca idealmente il Centro Italiano della Cultura del Carbone, un Museo-Laboratorio che ha il suo fulcro nell’edificio forse più straordinario della miniera, la Lampisteria, ovvero il luogo dove migliaia di minatori convergevano per ritirare e depositare le lampade, strumento essenziale per la gestione del lavoro e della sopravvivenza nelle gallerie. Utilizzando i padiglioni e gli spazi dismessi della
miniera (le sale argani, le torri …) ma anche sapienti simulazioni delle vecchie gallerie crollate, il CICC sta elaborando un programma che restituisce la percezione e ripercorre i significati tecnologici e antropologici dell’universo del carbone. Nello stesso tempo, la grande miniera è destinata a vivere anche come entità attiva e contemporanea, non solo legata alla memoria: grandi padiglioni quali le Tornerie e le Forge ospiteranno, a breve, centri di ricerca sull’energia, sedi di attività di alta formazione universitaria, centri di elaborazione e promozione culturale e il Museo Paleo Ambienti Sulcitani E.A. Martel, il cui allestimento è in via di completamento.
Il progetto-Carbonia, tuttavia è quasi costretto ad essere ancora più ambizioso, a non rinchiudersi nelle sue archeologie industriali, che si potrebbero rivelare come un ghetto insufficiente a contenere quel nuovo modello di sviluppo urbano che si sta cercando di realizzare. Il programma di riqualificazione ha quindi investito l’intera città e i suoi satelliti, e si rivolge anche al sistema territoriale che ha Carbonia come centro, ma non si esaurisce
nel nucleo di fondazione.
[…] In effetti, si tratta di un progetto complessivo che tende ad “accompagnare” la città nel suo progressivo affrancamento da una posizione di dipendenza dalla miniera e di affermazione della nuova identità di una comunità consapevole della sua storia ma proiettata fortemente sul futuro. Questo processo è emblematicamente rappresentato dal rapporto con il complesso di Serbariu: se prima Carbonia “apparteneva” alla grande miniera, oggi è la miniera che appartiene alla città. E quest’ultima, mentre se ne riappropria, riannoda i fili culturali del suo nuovo progetto.” (nota 1)
1. Salvatore Cherchi, Antonello Sanna, La città del Carbone: patrimonio storico del moderno razionalismo e progetto di sviluppo sostenibile, Intervento alla Conferenza internazionale “The contribution of heritage cities to sustainable urban development, 29 novembre – 2 dicembre 2006, Luxor Egitto, organizzata dall’ INTA – International Urban Development Association.